School of Water Scarcity è un progetto di ricerca multidisciplinare che indaga la gestione dell'acqua e le pratiche agricole, inserendole in un più ampio discorso culturale. Il progetto nasce dalla collaborazione tra OSAE - L'Observatoire de la Souveraineté Alimentaire et de l'Environnement di Tunisi, l'Associazione Aterraterra di Palermo, il Collettivo Epidemia in Italia e una rete più ampia.
È in corso un processo che rivolge un’attenzione specifica all’agevolazione e alla diffusione delle conoscenze dei piccoli agricoltori di entrambi i Paesi, alla conservazione della biodiversità attraverso la coltivazione di varietà locali alutoctone e non autoctone e alla possibilità di creare soluzioni per l’utilizzo e per la conservazione delle riserve idriche. Cosa si può fare nonostante e, forse, anche a causa di un disastro? Come ha ribadito Jonathan Nossiter, la civiltà si basa sull’agricoltura e sulla cultura. Nel tentativo di creare uno scambio positivo e non violento a cui guardare, la School of Water Scarcity riunisce operatori della cultura e dell’agricoltura per incoraggiare uno scambio e creare una rete, incentivando alleanze per comunicare l’importanza fondamentale del loro lavoro a un pubblico più ampio.
I – Mappare le possibilità
Nel contesto del riscaldamento globale, della desertificazione e anche di una certa tropicalizzazione in cui le condizioni meteorologiche sono sempre più severe – ad esempio le precipitazioni di un intero anno che cadono in pochi giorni, le ondate di calore, gli incendi e, allo stesso tempo, le previsioni meteorologiche che sono sempre meno affidabili – è necessario pensare a come e cosa fare per contribuire alla limitazione del Cambiamento Climatico (cambiando le politiche e il modello economico) e garantire l’alimentazione locale attraverso l’uso delle competenze locali. Quali tradizioni perdute possono essere riattivate e condivise tra gli agricoltori, come ad esempio la pratica del suolo (in grado di assorbire l’acqua in eccesso e di conservarla per un uso più prolungato), le tecniche di costruzione di mura in pietra (in grado di creare umidità), le serpentine dei canali lungo i pendii (per evitare l’erosione del suolo e i ristagni d’acqua)? Quali piante possono resistere? La tropicalizzazione delle piante coltivate rappresenterebbe un problema? Quando il protezionismo diventa conservatore? E come si possono ripensare la raccolta e lo stoccaggio dell’acqua?
II – Agricoltura e resistenza
Prendersi cura della terra è un atto di resistenza e di cura. Da un lato, la produzione agricola fornisce un’alimentazione essenziale ed è quindi necessaria per la sopravvivenza. La qualità e la diversità dei prodotti che abbiamo a disposizione cambiano drasticamente dalla piccola agricoltura alla produzione industriale. D’altra parte, questo vale sia per gli organismi umani che per l’ambiente, poiché l’agricoltura industriale impoverisce completamente il suolo, le risorse naturali locali e la biodiversità. Tuttavia, in Sicilia e in molte regioni e Paesi, l’agricoltura su piccola scala non è abbastanza redditizia per la sopravvivenza degli agricoltori – il lavoro investito è più significativo del rendimento ricevuto – e porta all’abbandono della terra. Quando la siccità, le inondazioni e gli incendi sono la nuova norma, questo è ancora più problematico, perché il terreno non lavorato e i campi vuoti sono molto meno resistenti in queste condizioni rispetto alla terra coltivata. Tuttavia, in un contesto meramente neocoloniale e capitalista, questi territori hanno poco valore e le risorse sono orientate al profitto. Come si potrebbe mettere in piedi una rete solidale per facilitare chi li cura e come questi territori potrebbero generare nuovamente mezzi di sussistenza?
III – Cultura e comunicazione
I prodotti agricoli sono più che altro trattati come una merce economica; vengono coltivati artificialmente, spostati, conservati per lunghi periodi e infine trasformati in innumerevoli altri prodotti o, nel peggiore dei casi, se non consumati, finiscono nelle nostre discariche. Il trattamento della natura e dei lavoratori nell’agricoltura industriale come risorsa illimitata è disastroso. Eppure, dato che abbiamo bisogno di mangiare più volte al giorno, un’agricoltura produttiva su piccola scala potrebbe essere uno dei più efficaci fattori di cambiamento per la salute dei consumatori e per l’ambiente. Quali modi di comunicare possono essere creati per sensibilizzare l’opinione pubblica, dare la possibilità di entrare in contatto con gli altri e renderli accessibili piuttosto che elitari? Quali dialoghi tra azione diretta, cambiamento strutturale e sostegno o pressione amministrativa sono necessari? Quali forme di espressione sono tangibili?
Questo progetto è stato ideato dalla Fondazione Studio Rizoma e finanziato dalla Fondazione Rosa-Luxemburg di Tunisi.