Città portuali

Between Land and Sea: un hub vivente per istituzioni e pratiche transnazionali

I porti sono la condizione di possibilità per il mare di diventare un elemento determinante della storia umana. I porti permettono alla terra e all’acqua di compenetrarsi e modellarsi a vicenda. Il mare come protagonista e non come oggetto di scena, il mare di Fernand Braudel come agente di trasformazione umana – quel mare è inimmaginabile senza il porto. I porti sono allo stesso tempo città-porto, tratti di terra abitata che si proiettano verso l’acqua. I porti sono spazi strutturali intermedi, liminali: un nesso di contraddizione, ibridazione e trasformazione. Sono uno spazio di collettivizzazione della differenza e uno spazio di lotta su quella differenza. 

Il mare è stato il grande connettore della terra, con i suoi popoli e le sue storie. Nessun luogo come la Sicilia – con le sue dominazioni fenicia, greca, romana, araba, normanna e spagnola – lo racchiude meglio. Ma il mare è anche il grande divisore. Separa la ricchezza dalla povertà, l’inclusione dall’esclusione. È un mare che molti cercano di attraversare solo per trovare muri invisibili e in alcuni casi morte. Da nessuna parte questo è più evidente che nella netta separazione delle coste settentrionale e meridionale del Mediterraneo. 

Le città portuali incarnano contraddizioni.  

Familiare/Inquietante—Nella storia dei porti, troviamo unite la proiezione verso l’esterno e la costruzione di un interno. Sicurezza e pericolo, il familiare e l’inquietante. La città, nella lettura mitologica di Jan Patočka, è il fondamento del familiare, di ciò che ci fa sentire a casa. E questo spazio coesiste, sempre già, con il suo esterno, con l’assenza e la negazione del controllo, con lo straniero e l’inquietante. Il porto rimane in tensione tra gli opposti e permette la loro relazione dinamica e la loro compenetrazione.

Sé / Altro—In questo senso, i porti sono l’epicentro dell’interazione tra il sé e l’altro. Le comunità umane sono definite da una logica al tempo stesso inclusiva ed escludente, poiché ogni confine traccia una linea di demarcazione: identifica il noi, lo spazio della solidarietà, e ciò che è straniero. I porti sono la porta dell’altro per eccellenza e quindi sono anche la premessa per la costruzione del sé: definiamo la nostra identità rispetto a chi non possiamo identificare. Eppure i porti incarnano anche l’eccesso dell’altro, la sua capacità di denudare e trasformare ogni identità fittizia. 

Merci / Persone—Dalle antiche rotte commerciali alla violenza coloniale fino alla Belt and Road Initiative cinese, la logistica ha rappresentato sia un apparato di controllo che la condizione di emancipazione. Non è un caso che l’alfabeto semplificato – un bene comune del popolo – sia stato ideato per la prima volta in due città mercantili: Ougarit e Byblos. Mentre le vie d’acqua colmano le distanze, i porti promuovono nuove tecnologie per colmare le differenze umane, facendo esplodere la dialettica tra il desiderio umano di connettersi, l’imperativo economico di scambiare e l’aspirazione politica di controllare. 

Controllori / Controllati—Non è affatto insignificante chi esercita il controllo sulla connessione umana e quale spazio politico è impotente di fronte allo scambio economico. La logistica è la promessa che il movimento senza attrito di merci, capitali e informazioni permette le forme di controllo e di misurazione che assicurano che queste richieste fluttuanti siano soddisfatte in modo tempestivo ed efficiente. Ma una maggiore connettività si ottiene a costo di cancellare tutti gli ostacoli che si frappongono, siano essi flussi umani, tessuto urbano o elementi ambientali. Lo spazio della logistica è quindi definito in relazione al potere che lo gestisce, il potere che mantiene la promessa. E questo potere, anche se troppo spesso sconosciuto a se stesso, è quello dei lavoratori, dei pescatori, dei migranti che fanno funzionare e oliano quotidianamente la macchina del commercio e del consumo internazionale.  

Terra / Mare—Le città portuali si trovano tra la terra e il mare. Sono il punto di partenza del nostro progetto: un incontro politico e un programma di produzioni artistiche e teatrali originali sviluppate e presentate tra Palermo, Tunisi e Brema, per costruire un ponte allo stesso tempo tra l’Europa e il Maghreb e tra il Sud e il Nord dell’Europa.

In un momento storico in cui l’umanità sta affrontando sfide planetarie senza precedenti, artisti, attivisti e cittadini hanno bisogno di inventare nuovi modi per unirsi attraverso le frontiere e sviluppare narrazioni transnazionali e solidali. BETWEEN LAND AND SEA coinvolge più di 50 artisti, lavoratori, ricercatori, migranti, pescatori, agricoltori e cittadini per sviluppare alleanze transnazionali concrete, narrazioni e pratiche di solidarietà per resistere a crisi e disastri futuri, come la desertificazione, i conflitti derivanti dalla crescente disuguaglianza economica, l’innalzamento del livello del mare e la migrazione globale.

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