‹Io ne ho le tasche piene di questa storia dell’adattamento. Io non voglio adattarmi, io il cambiamento climatico lo voglio combattere›. Elke ci dice che dal suo punto di vista l’idea dell’adattamento è fuori strada per affrontare il cambiamento climatico: si rischia di cavalcarlo, di darlo per scontato, di costringerlo in una forma immaginata o di assecondarlo secondo schemi prefigurati. Come forse quello della desertificazione, secondo cui prima cadranno la Sicilia, la Calabria, la Basilicata e la Puglia. L’ecologo dell’università di Catania Christian Mulder ha dichiarato nel 2021 che in futuro alcune aree della Sicilia saranno come la Tunisia. Il Sud prende il nord, e così noi pensiamo che la desertificazione proceda più o meno uniforme come una nuova invasione saracena dall’Africa da Sud verso nord. Mulder poi precisa che ‹del resto, la Tunisia si trova dirimpetto›. Chissà se anche in Tunisia dicono, ‹qui è come stare in Sicilia›?
In Sicilia, il progetto MixWheat seguito dal visionario genetista Salvatore Ceccarelli intende creare combinazioni evolutive delle popolazioni di frumento in modo tale da ottenere sementi produttive e nutrienti adatte a un’agricoltura di contrasto alla desertificazione, la cui caratteristica essenziale sia cioè quella di saper affrontare produttivamente climi aridi, come quelli della Tunisia. O ‹come il clima di mezza Europa, se sappiamo aspettare› secondo un giovane agronomo che spiegava la visione del progetto a una platea di imprenditorə e scienziatə. Potremo vendere queste sementi adattate al più gravoso clima siciliano di oggi a caro prezzo e riempire a breve i campi di grano dalla Campania fino alla Provenza e persino fino all’Ucraina dando tempo al tempo.
Quindi se in questa visione la Tunisia è il deserto si può anche dire che il deserto ci sia già in Italia: l’aridità è una condizione stabile nel Mediterraneo. Da quanto tempo, e per quanto?
Per esempio in Salento all’inizio della crisi Xylella lə attivistə hanno registrato su alcuni terreni dove si ergevano olivi moribondi una percentuale di sostanza organica dello 0,6. Nel sistema di misurazione della materia organica presente nei suoli (SOM) a valori sotto l’1% viene attribuito solitamente lo status di suolo desertificato. Per questo appare comprensibile l’attenzione posta dallə attivistə salentinə alla mancanza di sostanza organica nel terreno come possibile causa della moria degli ulivi. In questa versione della storia il passato di fitofarmaci ha decimato la fertilità dei campi: sovrautilizzo intensivo dei terreni o semplicemente conduzione ecologicamente insensata? In ogni caso qui la desertificazione è antropica, e gli imprevedibili effetti (la scomparsa della foresta di ulivi causata dal batterio) li chiamiamo cambiamento climatico. Per ora tra le conseguenze della scomparsa della foresta si annoverano principalmente roghi e incendi, che rappresentano una testimonianza del climate change ma non si esauriscono in esso.
AGROINDUSTRIA 4.0
La regione Puglia e le aziende appoggiate dai ministeri come quello delle politiche agricole alimentari e forestali e quello della transizione ecologica propongono allə agricoltorə un’alternativa al verde selvatico che prova a crescere ai margini delle strade o sotto quel che rimane degli ulivi: un nuovo piano per il paesaggio postdisastro Xylella. Si tratta sempre di uliveti monovarietali, ma stavolta da gestire comodamente dal divano di casa propria attraverso app che dal tablet sono in grado di coordinare nuove macchine automatizzate. La chicca di questi nuovi impianti ecologicamente innovativi è che a parte i droni, i sistemi GPS e la miracolosa cultivar frutto di selezione genetica FS-17 o Favolosa, l’agroindustria 4.0 garantisce rese e raccolti supercompetitivə anche grazie alla microirrigazione. Questa tecnica consente un ‹incredibile› risparmio di acqua, facendone cadere solo poche gocce in un punto sofisticatamente calcolato rispetto alla chioma e al tronco dell’ulivo per ottimizzare l’irrigazione ai fini della produzione. Quindi i nuovi impianti di olivi 4.0 meccanizzati e superintensivi rappresenterebbero il futuro contro il cambiamento climatico e la desertificazione.
Sì, sarebbe una nuova monocultura (remunerativa stavolta?) ma con un geniale risparmio d’acqua.
È ragionevole pensare che l’impianto di nuove monoculture automatizzate sia un coraggioso atto di resistenza al cambiamento climatico? Pensiamo a come questa narrazione si relaziona con la siccità della Padania di quest’estate, che ha messo in ginocchio l’agroindustria del nord Italia mentre il bacino sulla diga dello Iato alle porte della Valle del Belice tra Palermo e Agrigento ancora a settembre strabordava di acqua per i monsoni dello scorso dicembre. Le istituzioni e la classe imprenditoriale sono certe della desertificazione che arriva ‹da giù› ma non sanno parlare dell’imprevedibile che il cambiamento climatico ci riserva. Forse le monoculture ci aiutano a resistere agli sconvolgimenti climatici perché riescono a partecipare alla follia del mercato agroindustriale consumando meno acqua? Meno acqua rispetto a chi, poi? La risposta è sempre quel paese che pensavamo fosse un deserto, oltre lo stretto di Sicilia.
Desertificazione e cambiamento climatico sembrano costruire un percorso che si snoda a un certo punto su due strade diverse. La desertificazione è raccontata come certa e lineare, una linea di sudificazione, mentre noi sappiamo che il cambiamento climatico è strano e imprevedibile. I fenomeni dell’uno sembrano quelli dell’altro e in parte lo sono, specie se si ricerca la causa in motivi antropici. Ma sembrano anche in contraddizione, e noi correremo il rischio di finire per affermare che la linearità della desertificazione posizioni un evento del cambiamento climatico entro uno schema razionale.
Mulder ha accennato a una sua perplessità nell’intervista già citata: ‹Non mi spiego perché la Sicilia centrale non sia già coperta da una distesa di pannelli fotovoltaici›. Dice che qui ci sono le risorse economiche per contrastare il cambiamento climatico. Abbiamo bisogno dei pannelli solari per fornire energia pulita alle città, tanto più che le colline al centro della Sicilia si stanno desertificando perché la coltura del grano, fatta in quel modo, accompagna quei terreni alla morte certa. Ma la desertificazione, come abbiamo detto, non è solo climate change. Eppure la presunta linearità dei suoi processi aiuta una narrativa che immagina di poter non solo gestire ma anche dominare alcuni processi legati al cambiamento climatico con gli stessi strumenti e le stesse retoriche che lo hanno prodotto in primo luogo.
Sembra che chi pianifica, indirizza e domina il rapporto tra umano e natura si scordi che la lezione del cambiamento climatico è l’imprevedibilità. Il rischio che individuiamo è che, appellandosi a un calcolo scientifico che descriva come certo l’avanzamento della linea di desertificazione, un’imprenditoria predatoria e speculativa si appropri della narrazione del fenomeno e di conseguenza anche delle pratiche volte a contrastarlo.
Estratto da SUD, menelique magazine #8, autunno/inverno2022
Autore: Collettivo Epidemia
Illustrazione: Kevin Niggeler
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