Gloria Dorliguzzo arriva alla coreografia partendo dall’arte della spada giapponese. Ha recentemente iniziato, in residenza a Palermo per Studio Rizoma, una ricerca densa di collegamenti e cortocircuiti che procede per due vie: da un lato una scintilla teorica, pensare l’origine della poesia come strettamente legata a quella della macellazione nella ritualità arcaica del mediterraneo – ed in particolare nell’antica Grecia – attraverso la tradizione coreutica dell’Asapikos.
Dall’altra si parte dalla quotidianità lavorativa dei macellai, attraverso una ricerca sul territorio siciliano (incontrando anche comunità come quella Arbëreshë o quella di origine nordafricana che fa macellazione Halal), ed un loro coinvolgimento diretto sulla scena, cercando di astrarre la loro gestualità fino a gesto performativo, tagliando il vuoto. I movimenti di Butchers sono come la lama del coltello di Zhuang zi, “non è un pieno che attraversa un pieno, è esso stesso un vuoto («il filo del coltello non ha spessore») che si articola su un vuoto («nei vuoti, c’è spazio più che sufficiente per il coltello»). Il coltello che opera in tal modo al livello dello spirito analitico, non lavora sullo spazio che riempie il bue, quello attestato dai sensi, dagli occhi, ma secondo l’organizzazione logica interna del ritmo e degli intervalli” (Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte).
Studio Rizoma: Nel testo che presenta il tuo lavoro, scrivi che “Butchers nasce dalla scoperta casuale di un’etimologia, quella della danza popolare greca Hasapikos – ancora oggi diffusa e praticata – che letteralmente significa danza dei macellai.” Cosa intendi con “scoperta casuale”? Ci puoi raccontare qualcosa sull’origine di questo progetto?
Gloria Dorliguzzo: Dico casuale perché tempo fa mi è stata commissionato da un teatro d’opera di coreografare, per il corpo di ballo, un lavoro inedito di un musicista contemporaneo.
Il nome dell’opera è “Orione” e all’interno vi sono 3 Hasapikos di differenti velocita. Non conoscendo nulla di questa danza popolare Greca, il mio approccio è stato quello di andare a scoprire un po di fonti letterarie su cosa rappresentasse quella danza e da chi fosse praticata, ed è li che ho scoperto che Hasapikos significa letteralmente “danza dei macellai”.
Credo che il mondo della macelleria abbia sempre avvicinato e rifiutato gli artisti in uno strano rapporto, vedi Bacon per esempio, questo perché il valore rituale e sacrificale è ad oggi ancora intrinseco e presente. Proprio perché ci rapportiamo ad una vita, ad un corpo e compiamo delle azioni su di esso non poteva escludere l’uomo dalla elaborazione di un pensiero a riguardo.
ST: Scrivi anche che “questa tradizione coreografica è iniziata a Costantinopoli all’interno della corporazione dei macellai Avarniti, un gruppo etnico di origine albanese”. Come mai hai scelto la città di Palermo per iniziare la tua ricerca? Hai trovato qualche affinità tra le culture in questione?
GD: È stato un pensiero istintivo devo ammettere! Conosco Palermo, per lavoro e per altri motivi mi è capitato spesso di venirci, e quando Butchers ha preso forma non solo come idea ma come desiderio di ricerca, Palermo per la sua Grecità per la sua autenticità è stato il primo luogo che ho pensato potesse essere perfetto.
Data la storia dell’Hasapikos e la sua pratica tra la popolazione Albanese, ho pensato fosse importante fare un sopralluogo a Piana degli Albanesi in cui sopravvive la comunità Arbereshe, purtroppo ho constatato che della danza in questione non vi è alcuna traccia.
ST: Nel tuo periodo di residenza a Palermo hai avuto l’occasione di conoscere numerosi macellai della città. Quale è stato il tuo approccio nel proporre loro di partecipare al progetto e quale invece è stata la loro reazione, considerando il fatto che si tratta di una tradizione coreografica greca? Hai qualche aneddoto da raccontarci?
GD: L’approccio con la comunità dei macellai di Palermo devo dire che non è stato semplice, soprattutto all’inizio quando il discorso non riusciva ad articolarsi bene e c’era un po’ d’imbarazzo nei primi approcci. Superando il fatto di essere donna, artista e non palermitana piano piano gli incontri sono andati sempre meglio, affinando di volta in volta la presentazione del lavoro in modo che fosse più chiara possibile. Butchers si nutre di stimoli e spunti intellettuali difficilmente esplicabili in poche parole ma sono sicura di essere riuscita ad interessare con i miei racconti un po` di loro.
ST: Hai organizzato due giornate di prova con i macellai che hanno preso parte al progetto. Sei riuscita a portarli in una fase di ricerca più avanzata? Cosa è avvenuto nel momento in cui li hai incoraggiati ad astrarre il gesto?
GD: È stato un incontro e un momento bellissimo! All’inizio è stato difficile per loro concepire il concetto di astrazione nella loro pratica così vera e materiale: cercavano oggetti, superfici per imitare il taglio della carne. Non riuscivano ad allontanarsi dal reale! Con insistenza e aiutata da una musica che, sicuramente ha aiutato a portarli in un altro spazio mentale, si sono aperti al gesto e alle mie indicazioni di come portarlo nello spazio.
ST: Che cosa hai in mente per il futuro? Come vorresti che procedesse il progetto?
GD: Il lavoro è appena cominciato e la ricerca è ancora lunga…. Butchers è un progetto che ha bisogno di tempo e costanza, tempo da dedicare ai macellai i quali hanno un lavoro molto impegnativo che prende tantissimo delle loro energie.
Ecco perché` mi sto rivolgendo a Fondazioni o realtà che possano ospitare residenze di diverse settimane in modo da costruire con loro un solido rapporto per una pratica costante, in modo da permettergli di entrare nello studio del gesto col fine di creare insieme a loro una performance.
Altro interesse, oltre a quello di prolungare il periodo in modo da creare più conoscenza e profondità del lavoro, è quello di scoprire diverse culture e diversi popoli, per esempio quello che Greco, o Balcanico e Turco, in modo da creare un ”Diario” o un ‘Atlas” gestuale di come si differenziano le pratiche di macellazione provenienti da diverse tradizioni e, forse, da ritualità ancora presenti.