Il Mediterraneo tra Utopia e Apocalisse

Incontro con la storica Leyla Dakhli: “Il Mediterraneo è un’utopia”

“Questa etichetta di “Mediterraneo” designa una cultura comune, una forma di utopia cosmopolita, un po’ sciropposa e spesso nostalgica, il luogo di un incontro e di una coesistenza tra popoli e culture, di una circolazione tra l’Occidente e l’Oriente. Dagli orientalisti ad Albert Camus, c’è lo stesso mondo immaginario: il sole del Mediterraneo, la bellezza delle rovine e dei paesaggi, la luminosità della luce, i vigneti e gli ulivi, ecc. E questo immaginario è tanto più forte quanto più ci si allontana dal Mediterraneo: è in pieno svolgimento a Berlino, dove vivo da quattro anni e dove ho assistito gradualmente all’arrivo dei rifugiati. Soprattutto, più il Mediterraneo si afferma come un mondo comune nei discorsi, più le separazioni e le divisioni appaiono nella realtà.”

“L’utopia mediterranea ha ora il suo esatto lato negativo: lo spazio dello scontro di civiltà, il mare cimitero. Essendo al termine di una serie di crisi, tra cui il mostruoso conflitto siriano, il Mediterraneo tende ad essere descritto come uno spazio apocalittico crivellato di guerre, un territorio devastato dalla morte. Ma non tutte le migrazioni sono dovute alla guerra, e mentre molti migranti muoiono, non tutti sono necessariamente in fuga da situazioni estreme. Alcuni cercano solo di portare un po’ di soldi al loro villaggio, o semplicemente di vedere com’è altrove. La crisi è anche causata, dalla metà degli anni 70, dalle politiche di congestione. La costruzione europea ha avuto un impatto enorme sulla migrazione: Più l’Europa si apre all’interno, più si chiude all’esterno imponendo visti ai migranti mediterranei in generale, siano essi stagionali, economici, ecc. Questi ultimi devono passare attraverso ogni sorta di meccanismi che creano un collo di bottiglia che con il tempo è diventato una zona di crisi, mentre la migrazione nell’area del Mediterraneo era una sorta di routine.”

“La nozione di Mediterraneo si trova tra un approccio utopico e una visione apocalittica. Per uscire da questa situazione, credo che dobbiamo mettere in sordina le ricerche sull’immaginario o gli approcci monografici, per lavorare sugli spazi connessi, sulle circolazioni e sul modo in cui il molto contemporaneo mette in prospettiva la storia.”

“Il Mediterraneo collega tre continenti: Europa, Africa e Asia. Ma anche come spazio geografico, non è evidente: stiamo parlando del mare stesso o della zona che lo circonda? Né sappiamo quanto si estenda questa zona, tanto più che coloro che arrivano oggi nel Mediterraneo provengono spesso dall’area subsahariana. Dobbiamo arrivare fino alla frontiera del Sahara? La guerra in Siria rivela anche circolazioni che avevamo quasi dimenticato, attraverso il Medio Oriente e le isole del Mar Egeo, questa “rotta orientale” dove si sono giocati tanti drammi, come gli scambi di popolazioni turche e greche dopo la prima guerra mondiale. Sotto la sua apparenza di mare interno, chiuso e circolare, il Mediterraneo è in realtà il portatore di tutte le divisioni: Nord-Sud e Ovest-Est. Nord-Sud, cioè il fronte coloniale e post-coloniale, e Ovest-Est, cioè Maghreb-Mashrek, Couchant-Levant, Mediterraneo-Mar Nero.”

“Queste divisioni si riproducono anche nelle nostre discipline, dato che spesso siamo specialisti in una particolare area culturale. Ci troviamo da una parte o dall’altra del Mediterraneo, a nord o a sud, a ovest o a est. È questo tropismo che vorrei contribuire ad abbattere ricollegando i diversi mondi mediterranei. Perché il Medio Oriente non è tradizionalmente così interessato al Mediterraneo… a meno che non sia il Mediterraneo a non essere interessato al Medio Oriente! In ogni caso, non è affatto chiaro che questa zona faccia parte del Mediterraneo. La storia del Medio Oriente è piuttosto inscritta nel mondo arabo, nella Lega Araba e nella potenziale nazione araba. In quest’altra utopia del Sud, il mondo arabo è rivolto verso la Terra Santa di Israele-Palestina, e verso la Terra Santa d’Arabia, la Mecca, così come verso l’Iraq e le culle dei califfati e della civiltà araba.”

“Si potrebbe quasi dire che il Mediterraneo è solo per l’Europa, visto solo da nord, dall’alto. Le aree colonizzate, economicamente o politicamente dominate intorno al Mediterraneo non si relazionano con esso e non lo nominano come tale. Dando un nome allo spazio, il potere, qualunque esso sia, si dà la possibilità di conquistarlo, realmente e mentalmente. Questo è, per eccellenza, lo spazio imperiale dei romani, Mare nostrum, ‘il nostro mare’. Tutto è nel possessivo ‘nostro’, naturalmente, in questa appropriazione, questa conquista: i nostri valori, la nostra religione, la nostra architettura, i nostri edifici, le nostre città, il nostro modo di sfruttare la terra, insomma il nostro modo di organizzare il mondo.”

Estratto da Rencontre avec l’historienne Leyla Dakhli : “La Méditerranée est une utopie” pubblicato originariamente su Télérama, 18. Ottobre 2016. Intervista di Juliette Cerf.

Leyla Dakhli è una storica tunisina e ricercatrice presso il Centro di Ricerca Nazionale francese (CNRS), attualmente insediata presso il Centro Marc Bloch di Berlino.

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