Leone Contini: Continuous Repositioning

Estratto da un talk tenuto da Leone Contini a Palermo il 4 giugno 2022

Il passato coloniale italiano è stato lungo e violento. Lungo nel senso che il colonialismo inizia nella fase immediatamente post-unitaria e finisce dopo la seconda guerra mondiale, non durante; e poi nella sovrapposizione del colonialismo con il fascismo, c’è un crescendo proprio di violenza, che diviene insostenibile. Oggi abbiamo parlato di vari musei, in Francia, Inghilterra, Belgio, Olanda e Germania, però appunto non si è parlato dello stato delle cose oggi in Italia, un paese con molti musei etnografici. A Firenze, da bambini, ci portavano a vedere il museo etnografico di Firenze che era, come ogni altro museo etnografico, uno scandalo. Il fatto che ci portino i bambini ci fa capire come questo tipo di oggetti, acquisiti in una situazione di violenza e di rapporto di potere diseguale, siano invece incorporati all’interno del patrimonio e quindi assimilati in modo quasi naturale, come se fossero parte inalienabile del patrimonio dei paesi colonizzatori.

Oggi parlerò nello specifico di un caso particolare che accomuna le problematiche affrontate fin’ora: restituzione e riparazione. La restituzione da sola non basta, non può supplire a quello che è il danno fatto, non è pienamente capace di cucire lo strappo. Nei casi in cui la cui sottrazione ha determinato una crisi politica e religiosa, il danno è infatti irreversibile: è quindi fondamentale pensare anche alla riparazione e non solo alla sua restituzione.

Il museo di cui vi parlerò mette insieme le problematiche legate alla restituzione con problematiche nuove. Si sta parlando del museo ex coloniale di Roma, fondato nel 1923, in periodo fascista. Si tratta di un museo creato come strumento di propaganda per promuovere la causa coloniale. Questo museo contiene molti oggetti che potrebbero benissimo trovarsi in un museo etnografico, ma ne contiene anche molti altri, più specifici.

Visitando il museo, mi imbatto a un certo punto in una sorta di plastico con delle strutture architettoniche classiche, sotto ad un velo semitrasparente. Il fatto che non fosse pienamente visibile al pubblico, perché nascosto, mi incuriosì. Da allora, era il 2016, cominciò questo lavoro di scoperta e ricerca di questa collezione e di questo museo dismesso.

La collezione è divisa per aree tematiche poiché estremamente eterogenea: l’elemento archeologico è stato un potente vettore ideologico del colonialismo. L’archeologia era utilizzata per giustificare in qualche modo il ritorno degli italiani sulla sponda libica. C’erano poi cannoni, calchi in gesso realizzati da fisici e antropologi, le pelli degli animali conciate – tutto chiaramente frutto dell’estrattivismo. La collezione è coloniale e violenta in modo estremamente esplicito, tutto diventa oggetto di predazione: dal corpo umano, al volto, alla produzione di semi (la bio diversità di cui ci si appropria).

Dalle foto potete notare che la collezione si sta muovendo da un luogo ad un altro. Questa produzione eterogenea che vi sto descrivendo è sparpagliata, diffusa, in giro per la città di Roma. Non solo è la collezione di un museo estinto, e quindi riflette una sorta di oblio, ma la collezione è smembrata secondo aree tematiche. Possiamo definirlo un museo in transizione, una transizione sia fisica che istituzionale. Oggi gli oggetti della collezione sono parcheggiati nei corridoi o, peggio, nei depositi di altri musei: nella Galleria d’Arte Moderna, nel Museo della Fanteria, nel Museo Zoologico, infine, nei magazzini del Museo Pigorini (oggi museo delle ex Civilità). Una collezione smembrata come a voler nascondere le tracce di un crimine.

Di tutti questi busti che fanno parte della collezione e che a vario titolo hanno contribuito al colonialismo italiano, mi concentro in patricolare su quello che raffigura Rodolfo Graziani, condannato da un tribunale italiano per crimini di guerra commessi in Italia, durante la Repubblica Sociale. Graziani ha però commesso crimini molto più estesi nella sua vita militare, nello specifico in Libia e in Etiopia: campi di concentramento, esecuzioni sommarie, massacri di vario tipo, nei quali è stata coninvolta anche la popolazione civile. Il busto che raffigura un criminale di guerra è un bene inalienabile dello stato italiano.