Estratto da un discorso tenuto da Fabio Aranzulla e Luca Cinquemani a Palermo il 4 giugno 2022
Negli ultimi mesi il collettivo Aterraterra si sta occupando delle origini problematiche e spesso coloniali di molte piante alimentari. Oggi vogliamo raccontarvi la storia del Solanum Aethiopicum. Abbiamo ricevuto i semi di questa pianta da un amico, il quale ha ritenuto interessante farceli avere. All’epoca non sapevamo pressoché nulla di questa pianta, l’avevamo già vista in passato ma non ne conoscevamo la storia. Sul pacchetto c’era scritto “melanzana rossa di Rotonda”. Il nome utilizzato in Italia non dice molto sull’origine coloniale della pianta, mentre il nome scientifico, Solanum Aethiopicum, ci racconta delle sue origini etiopi.
Partiamo dalla descrizione che troviamo sul sito web di Slow Food – fondazione no-profit che si occupa di valorizzare produzioni locali, soprattutto legati al territorio, alle piccole produzioni e alle eccellenze locali – di questa melanzana e analizziamo insieme alcuni parti di questo testo, in quanto particolarmente problematiche.
Slow Food scrive: ”È piccola e tondeggiante come una mela, di colore arancio intenso con sfumature verdognole e rossastre: più che una melanzana sembra un caco o un pomodoro. Non a caso nella parlata locale si chiama “merlingiana a pummadora”. La melanzana rossa di Rotonda (Solanum aethiopicum) è una lontana parente della comune melanzana (Solanum melongena) giunta in Europa forse dall’India e provvista di bacche di un bel viola intenso. Quella di Rotonda è arrivata alla fine dell’Ottocento, probabilmente dall’Africa, forse importata da alcuni soldati di ritorno dalle guerre coloniali. Sconosciuta altrove, è una pianta rustica coltivata in tutti gli orti di Rotonda e ha un sapore più amarognolo ed esotico delle comuni melanzane. Le piantine sono poste a dimora in maggio e il primo raccolto avviene nel mese di agosto per continuare fino ai primi freddi. Anche le modalità di conservazione sono caratteristiche: le piccole melanzane anticamente venivano “nzertate”, cioè legate a grappoli come si fa per peperoni e pomodorini, e quindi messe ad asciugare sotto tettoie. È consumata tradizionalmente sott’olio e sott’aceto, ma nella cucina contemporanea viene proposta nelle più svariate forme: in agrodolce, in confettura, fritta e addirittura in versione da fine pasto come liquore e cioccolatini. Sono apprezzate anche le foglie, tenere, molto diverse da quelle della comune melanzana, per forma e dimensioni, solitamente preparate in pastella e poi fritte. La polpa è carnosa, non annerisce nemmeno dopo parecchie ore dal taglio; il profumo è intenso, fruttato tanto da ricordare il fico d’India. La rossa melanzana “africana” è solo una delle verdure che fanno di Rotonda – 3000 abitanti, altitudine circa 600 metri, a una cinquantina di chilometri dal mare di Maratea – una piccola capitale dell’orticoltura di tradizione, inserita in un contesto ambientale unico: il Parco Nazionale del Pollino, l’area protetta più estesa del nostro Paese. La sua peculiarità è il basso contenuto di acido clorogenico responsabile nelle altre melanzane dell’imbrunimento della polpa: questo la rende ideale per la trasformazione e la conservazione.”.
La prima questione che salta all’occhio è sicuramente il racconto molto breve, solo accennato, delle origini coloniali della melanzana rossa di Rotonda. Si dice che molto probabilmente è legata al colonialismo italiano. Di fatto, noi abbiamo cominciato a fare ricerche e a intervistare persone che vivono a Rotonda, comprendendo che la storia è molto più complessa di come viene narrata. Si narra che la melanzana rossa arriva in Basilicata con i soldati di ritorno dall’Etiopia durante la prima fase del colonialismo italiano. Angelo Passalacqua, grande conservatore di semi, ci ha raccontato che la coltivazione della melanzana rossa di Rotonda era legata anche a particolari condizioni di questi soldati: era la pianta della povertà. Chi coltivava Solanum Aethiopicum era sempre un ex soldato che viveva in condizione di povertà. La sua coltivazione e il suo consumo rappresentavano in qualche modo uno stigma.
Questa narrazione si interrompe nel momento in cui Slow Food cerca di ri-brandizzare la melanzana rossa di Rotonda mettendo in atto, per prima cosa, una semplificazione della sua storia coloniale, quindi dedicando soltanto alcune righe a questo concetto. La fondazione, inoltre, utilizza un termine interessante in questa narrazione, cioè definisce la melanzana rossa “esotica”. Nel testo si legge che la melanzana è sconosciuta “altrove” facendo intendere che l’Italia è un po’ il centro del mondo: la melanzana rossa è in realtà coltivata e utilizzata in tantissime parti del mondo, per esempio in Nigeria e in alcune parti dell’India.
Cosa significa esotico? Il termine esotico viene utilizzato per fare una distinzione tra “noi” e “gli altri”, tra ciò che si conosce e ciò che non è conosciuto. Arrivati a questo punto ci chiediamo: quando una cosa diventa esotica o quando cessa di esserlo? Perché non pensiamo al pomodoro, anch’esso con una storia coloniale alle spalle, come ad un frutto dal saporo esotico? Abbiamo capito, infine, che si tratta di un esemplare caso di italianizzazione: sia il pomodoro che la melanzana rossa di Rotonda, vengono italianizzati, quindi pian piano assimilati e, col tempo, smettono di essere considerati esotici. Chiaramente, Slow Food parla di esotismo per rendere più appetibile la melanzana rossa di Rotonda. Come vediamo, le narrazioni delle piante alimentari rispecchiano l’impianto coloniale che è all’interno del nostro linguaggio e dei nostri schemi culturali e sociali.
In ultima analisi, Slow Food scrive in una piccola nota che “i saperi raccolti appartengono alle comunità che li hanno preservati nel tempo”. Questo ci permette di fare un collegamento con la questione delle restituzioni. La domanda è: a chi appartiene questo sapere? E chi lo ha preservato nel tempo in questo caso? Slow Food sta facendo di questa melanzana rossa una narrazione legata al territorio di Rotonda. Come dovremmo comportarci di fronte ad un caso del genere? Smettere di coltivarla o continuare a coltivarla cercando di rinnovare la sua narrazione? Come si può immaginare una restituzione nel caso delle piante, che per loro definizione sono in continuo movimento e in continua trasformazione?
In foto: Solanum Aethiopicum o melanzana rossa di Rotonda