Aterraterra: rendere visibili nuove forme di vita

Aterraterra in conversazione con Izabela Anna Moren

Da circa due anni Luca e Fabio coltivano un orto a Piana dei Colli, tra lo stadio e il parco della Favorita, a pochi chilometri dal centro storico di Palermo. In questo terreno comunitario coltivano piante spontanee, fiori, erbe officinali e aromatiche e ortaggi antichi, rari e biologici, che vengono consegnati in bicicletta agli altrettanto appassionati residenti e agli ancor più appassionati chef locali.

Ma il gusto non è l’unica cosa che interessa al duo. Il loro è un dialogo interspecie e interculturale in cui tutti i parametri sono continuamente rivalutati e negoziati tra tutti i soggetti coinvolti. L’attività agricola della loro associazione confluisce senza soluzione di continuità nello smantellamento della neocolonialità, dell’industrializzazione e dei discorsi dominanti, attraverso la ricerca di storie vegetali e culinarie e collaborazioni che portano la marginalità al centro. L’AterraterraLAB, appena inaugurato, fa esattamente questo, portando il mondo agricolo dai margini e dalle periferie rurali a entrare nei sensi del centro urbano di Palermo.


Izabela Anna Moren: Presto inaugurerà il vostro spazio AterraterraLAB in città, un buon momento per pensare da dove siete arrivati. Avete dei background diversi e lontani dall’agricoltura, cosa facevate prima nella vita e come vi siete avvicinati all’agricoltura? Perché avete sentito la necessità di fondare Aterraterra?

Aterraterra: Fabio ha un background di artista e attivista, Luca viene dal mondo della ricerca e dell’attivismo. Fabio è nato e cresciuto in Germania perché è figlio di migranti siciliani ma si è trasferito più di due anni fa a Palermo, dove ci siamo conosciuti. Abbiamo iniziato quasi per gioco, avevamo in comune la passione per le piante e abbiamo iniziato i nostri esperimenti in un piccolo orto. In poco tempo abbiamo creato un giardino pieno di piante commestibili rare, varietà di ortaggi speciali e fiori. Abbiamo imparato come riprodurne e salvarne i semi e abbiamo preso contatto con il terreno, considerandolo un complesso ecosistema di forme di vita spesso invisibili, da riconoscere e rispettare.  E proprio in quel periodo abbiamo anche iniziato a riflettere sul rapporto tra umano e altre forme di vita e abbiamo scritto il Manifesto per un collettivo interspecie. Per dare una base più strutturata a progetti come questo e a quelli legati alla coltivazione abbiamo fondato nel 2020 l’associazione Aterraterra. 

IAM: Quali sono gli inizi dell’associazione Aterraterra e del vostro terreno vicino alla Favorita, quale è stato il percorso e cosa avete imparato?

A: La prima stagione abbiamo iniziato a coltivare questo piccolissimo terreno acquistando piantine già pronte da trapiantare e, arrivato il momento del raccolto, abbiamo assaggiato i cavolfiori, le bietole e gli altri ortaggi. Con nostra grande sorpresa, il loro sapore non era molto diverso da quello delle verdure del supermercato. Fabio, che ricordava bene il gusto delle verdure che assaggiava in Sicilia da bambino quando veniva in estate in vacanza, non ha trovato molta differenza tra le verdure del nostro orto e quelle che comprava in Germania. Da quel momento abbiamo iniziato una ricerca approfondita sulle varietà, recuperando da vecchi agricoltori e altre realtà simili alla nostra, semi di ortaggi “antichi” e rari. Si tratta di varietà marginalizzate dal grande mercato, perché spesso non hanno caratteristiche commerciali come l’omogeneità o non sono adatte alla distrubuzione. In compenso hanno un sapore eccezionale e, soprattutto, hanno una grande variabilità genetica, a differenza delle piantine che troviamo dai vivai, prodotte spesso da grandi compagnie che creano ibridi F1 molto omogei geneticamente, piuttosto insapori e lontani dalla diversità genetica che vediamo in natura. Inoltre questi ibridi, a differenza delle varietà non commerciali che noi coltiviamo, daranno semi da cui nasceranno piante con caratteristiche non sempre desiderabili. Così è iniziata la nostra avventura con le specie e le varietà rare e a seme riproducibile: dalla zucchina limone al pomodoro litchi, da diverse varietà di melanzane rare ai tanti peperoncini dalle forme e dagli aromi squisiti. Di lì a poco è iniziato anche il nostro interesse per le piante spontanee alimentari sia per le loro caratteristiche organolettiche che per l’importanza che hanno per l’ecosostenibilità. Parallelamente abbiamo inizato le nostre ricerche sul rapporto tra piante alimentari e (neo-)colonialismo, fascismo, antisemitismo, razzismo, sessismo e altre forme di discriminazione e/o difficult heritage. Ne sono esempi la melanzana rossa etiopica (Solanum aethiopicum) in Italia conosciuta solo come melanzana rossa di Rotonda (tralasiando spesso le ragioni del suo arrivo in Italia, legate al colonialismo) o i grani antichi oggi tanto celebrati e che di fatto non sono così antichi ma in gran parte creati durante l’era fascista. 

IAM: Avete degli alleati qui in Italia o nel mondo con i quali potete parlare di un futuro condiviso? Come funziona la rete dei produttori indipendenti?

A: Per fortuna sì, intorno ad Aterraterra si è formata una rete di persone e istituzioni sia italiane che internazionali con le quali c’è un dialogo continuo. Con molte di queste abbiamo iniziato dei progetti comuni, molti dei quali stanno prendendo forma all’interno del programma di AterraterraLAB. Si tratta di artist, attivist, cooperative agricole, bracciant agricol, associazioni culturali, cuoc, scienziat, ecc. L’obiettivo è quello di far incontrare soggetti di ambiti disciplinari in apparenza non legati all’agricoltura, aprire un tavolo di confronto multidisciplinare per porre questioni da punti di vista diversi e cercare insieme modi e pratiche per immaginare un futuro più sostenibile e forse anche meno centrato sull’umano.     

IAM: Spesso mi chiedo del ruolo del consumatore e di come convincere qualcuno a non andare al supermercato ma investire in un prodotto sano per umano e terra, coltivato senza sostanze chimiche e con un atteggiamento che non estrae nutrienti dalla terra senza pensare a come riattivarla. Infine, quale è il ruolo del consumatore per il vostro lavoro?

A: Domanda complessa e importante, saremo un po’ lunghi. Il consumatore forse dovrebbe smettere di esistere come categoria isolata. Il fatto che ci sia qualcosa come un consumatore, qualcuno cioè che si limita a consumare, presuppone una sua separazione dalla cosa da consumare. Prendiamo il caso degli ortaggi. In questa visione ciò che si consuma è una pianta, o una parte di essa – quella parte ritenuta commestibile dal mercato  – che finisce per essere semplicemente merce pronta per la vendita, vestita nel suo packaging nello scaffale del supermercato.Noi pensiamo che l’unico modo per avere un’agricoltura e un’alimentazione più giusta e consapevole, oltre che a un mercato più giusto, è quello di coinvolgere il consumatore nel processo di coltivazione, riportare il consumatore a conoscere le piante che stanno creando cibo per la sua vita. Una zucchina al supermercato in fin dei conti non è altro che una parte amputata a una pianta. Una pianta che pochi consumatori vedranno interamente in vita loro. E tantomeno avranno la possibilità di conoscere l’agricoltore che la coltiva. Adesso non vogliamo dire che tutti i consumatori dovrebbero venire nei campi a vedere le piante e a conoscerne le modalità di coltivazione, ma vogliamo dire che il modello della grande distribuzione ha creato un enorme filtro tra chi produce il cibo – e cioè le piante e gli agricoltori –  e chi lo mangia e cioè i consumatori. Questa è una condizione aberrante, che non fa bene alle piante e all’ambiente, che non fa bene agli agricoltori e nemmeno ai consumatori. Fa bene soltanto alla grande distribuzione. Una soluzione? cominciare a guardarsi intorno: ci sono tante e tanti piccol agricoltor vicino a noi e anche se la vita contemporanea si sposa molto bene con i tempi del supermercato e spesso non ci concede il tempo per cercare direttamente chi produce, a volte basta (se le nostre condizioni di vita lo permettono) rivedere un po’ le nostre priorità. 

IAM: Quest’anno è un anno di grande crescita: state portando avanti un progetto sperimentale su un terreno più grande insieme alla Cooperativa Valdibella e inoltre state aprendo il vostro primo spazio fisico in città, non dedicato alla coltivazione. Quali piani avete per l’AterraterraLAB?

A: Con la Cooperativa agricola Valdibella abbiamo un rapporto speciale e abbiamo attivato la scorsa primavera il progetto Di seme in seme,  un campo sperimentale dove stiamo coltivando insieme diverse varietà di ortaggi speciali a seme riproducibile. L’obiettivo è dimostrare che è possibile coltivare, anche su una scala più grande di un piccolo orto, varietà di ortaggi speciali senza partire da piantine ibride F1 prodotte da grande compagnie sementiere. Con questo progetto proponiamo di tornare a lavorare con i semi, re-imparare a riprodurli e a salvarli. Il problema al quale stiamo tentando di rispondere è il seguente:  la diffusione enorme delle piantine di ortaggi offerte da queste compagnie ha condotto in tempo molto rapido alla perdita di un’enorme quantità di varietà locali, rare o marginali tramandate da lungo tempo e che sono state soppiantate dalle varietà ibride. Questo ha comportato un’enorme perdita di biodiversità, la dipendenza degli agricoltori da sementi e piantine prodotte all’esterno e un’appiattimento dei sapori degli ortaggi a cui purtroppo ci stiamo abituando sempre di più. Lavorare a partire dai semi di varietà rare e speciali è una sfida importante che aiuta quindi la biodiversità, aumenta l’autonomia di chi coltiva e la qualità di chi mangia. Questo e molti altri temi saranno al centro di AterraterraLAB, il nostro spazio fisico a Palermo che apre il primo dicembre. AterraterraLAB sarà un luogo aperto di discussione e creazione, dove si alterneranno diversi formati ed entreranno in dialogo diversi ambiti disciplinari. Ci sarà spazio per talk, residenze di artist, assemblee, workshop, proiezioni. Un luogo che promuoverà il dialogo e l’intersezione tra agricoltura, arte e attivismo, tentando di portare avanti un processo collettivo di costruzione di pensiero e di attivazione di nuove pratiche.

L’AterraterraLAB aprirà i suoi spazi il 1° dicembre 2023 e fa parte del programma degli fellowship istituzionali dello Studio Rizoma.